regia, drammaturgia, produzioni
documentari, corti, lunghi
sperimentare, crescere, imparare
tutto quello che avanza
Regia
Con Francesca Airaudo, Mirco Gennari, Giorgia Penzo
Riduzione di Loris Pellegrini
Costumi di Paul Mochrie
Maschere Stefano Perocco da Meduna
Scene di Antonio Rinaldi
Luci di Nevio Cavina
Drammaturgia, e animazioni video e regia di Davide Schinaia
Produzione Città Teatro 2015-2106
con il contributo della Regione Emilia Romagna
C'era una volta un Re; anzi, un Sultano… La raccolta di storie persiane più famosa al mondo è l’origine di un vortice di racconti che si sviluppano come un origami.
In questa nuova messinscena di Davide Schinaia, alcuni dei più bei racconti tratti da “Le mille e una notte” sono narrati in prima persona dai protagonisti stessi delle novelle di Sherazade: se i sette racconti di Sinbad diventano un viaggio fantastico in immagini e volumi, la storia di Ali Babà ci meraviglia invece nei suoi personaggi secondari -Morgiana, Cassim, la ricca vedova-, mentre il Genio della lampada è un etereo Capitano alle prese con uno scaltro Aladino-Arlecchino e la bella Persiana o il cieco Abdallàh ci trasportano, passo dopo passo, dentro le loro vicende, con un accento all’aspetto surreale e comico.
Con la licenza teatrale di accostare fra loro diversi linguaggi del teatro popolare, troviamo le maschere della Commedia dell’Arte, la narrazione, l’acrobatica, il canto e il ritmo, la comicità dei corpi e delle parole, mentre una menzione speciale meritano i costumi di Paul Mochrie dove tessuti preziosi e ricamati con pelli e piume, seta e iuta, raccontano come un mappamondo o una carta astrale le influenze multiculturali di una fiaba che ha ancora tanti segreti da scoprire.
Spettacolo adatto ad adulti e bambini dai 6 anni d’età.
Note di Regia -di Davide Schinaia
Le favole de Le mille e una notte sono tante, troppe per raccontarle tutte in una volta sola. E infatti Sherazade ci ha messo pressapoco tre anni. Per questo è necessario rinunciare subito ad essere esaustivi, completi, filologici. Bisogna invece riappropriarsi dell’arte antica del narrare con la propria voce, con le proprie tecniche, storie imparate a memoria ma sempre diverse ogni volta che trovano un nuovo spettatore. Ho chiesto agli attori di sentirsi come pupari, cantastorie, marionettisti, narratori e di essere disponibili a cambiare rapidamente ruolo, ad usare tutte le proprie abilità e a sperimentarne di nuove. Per permettere loro di giocare al meglio con le possibilità del corpo e della narrazione, la scenografia è volutamente semplice, concepita come una superficie su cui proiettare scenari evocativi, che rimandano alle rovine in pericolo di un antico oriente e dipingono sfondi per quadri metafisici, ognuno dei quali definisce e ambienta un momento del lungo racconto.
Regia
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